Come consuetudine per ogni mille Likes ecco su RIWmag una nuova intervista ai personaggi che animano il gruppo degli SBT che ormai supera quota 9000!
Che questo movimento fosse in crescita ed espansione era evidente ma che prendesse questa velocita’ e queste proporzioni forse non se l’aspettava nessuno, nemmeno l’ideatore del gruppo Fabio’ Tampieri.
In questa doppia intervista due personaggi di spicco del windsurf nazionale di qualche anno fa: Stefano Lentati e Andrea Longoni.
Senza voler nulla togliere al simpatico e interessante contributo di Longoni, le risposte di Lentati meritano una riflessione ad hoc: a entrambi i personaggi sono state fatte le stesse domande in modo equilibrato e senza nessuna ricerca della critica ne’ della provocazione. Evidentemente Stefano aveva delle cose da dire e ha colto questa occasione per farlo.
Lungi da noi il voler censurare (eventuali parole non consone al nostro pubblico a parte) ma lungi da noi il lanciarci in critiche nei confronti della concorrenza. Le persone intervistate sono ultra maggiorenni e quindi in grado di assumersi la completa responsabilita’ delle loro dichiarazioni.
Fatta questa dovuta premessa: buona lettura a tutti!
RIW: Stefano Lentati, il tuo nome di sicuro non è nuovo al pubblico windsurfistico italiano. Come è nata la tua passione per il windsurf?
Stefano Lentati: La mia speranza è che il mio nome venga presto completamente dimenticato dal pubblico windsurfistico italiano. Ho sempre nutrito disistima professionale per i molti pseudo-giornalisti italiani di windsurf che pensano di essere i protagonisti di questo sport, più importanti degli atleti o della passione di noi fagiani. Come dimenticare quello che ancora oggi si vanta di essere “il più importante giornalista italiano di windsurf”? Per questo motivo troverai difficilmente foto della mia brutta faccia sulle riviste che ho fondato e diretto e invece molte immagini di questi ominicchi. Fin dall’inizio ho sempre voluto tenere un profilo basso, e questa è una delle cose che mi rendono più orgoglioso, oltre a 100 numeri durante i quali Funboard ha veramente fatto un pezzo della storia del windsurf mondiale e, senza falsa modestia, diventare “forse la migliore rivista di windsurf del mondo” – questa è una citazione. Ne approfitto per ricordare, pace all’anima nera loro, quattro persone che hanno fatto parte del dream team di Funboard: Raffaello Bastiani, Maurizio Priano, Vincenzo Progida e Paoletta Serralunga.
RIW: Sì, ma la passione?
S.L.: All’inizio degli anni ’70 i miei hanno comprato una microcasetta con vista (da lontano) su Coluccia dove passavamo due mesi d’estate. Quando faceva troppo vento per stare in spiaggia c’erano due attività: andare a vedere gli spruzzi a Capo Testa o i windsurfisti a Porto Pollo. Cioè quelli che planavano, non quelle cose tristi che si muovono lentamente sull’acqua tipo il SUP o i Windsurfer. Per me il windsurf è quello: planare con vento forte. Lì è nata la passione, ma poi sulla tavola ci sono salito tardi, a 16 anni, e diciamo pure che sono sempre stato una grandissima pippa ma mi sono anche divertito moltissimo. Oggi frequento quasi solo il gerontocomio di Coluccia e la mia curva di apprendimento è negativa. Ma mi diverto e questo mi basta. La mia ambizione come windsurfista è zero. La mia voglia è mille. Non so bene come stiano assieme queste cose e nemmeno il mio psichiatra lo capisce.
RIW: come hai fatto poi a trasformare tale passione in una professione?
S.L.: Innanzitutto perché io sono molto bravo. Tornando alla preistoria, quando mi sono appassionato al windsurf ho iniziato subito a leggere le riviste. A me piaceva Windsurf Italia più di Surf. Il mio primo Windsurf Italia l’ho rubato ai ragazzi svizzeri del mio villaggio in Sardegna una settimana dopo aver messo piede per la prima volta su una tavola. Gli svizzeri erano quelli più avanti col windsurf da noi. Comunque ne leggevo un sacco, anche di quelle straniere. Durante l’università un mio amico windsurfista, Malte “Simmer” Cirenei, allora appassionato di fotografia e oggi uno dei migliori fotografi di architettura in Italia, aveva bisogno di qualcuno che scrivesse dei testi per accompagnare le foto di windsurf che voleva vendere alla rivista 5Sport. Lì ho cominciato la prima collaborazione. Poi Windsurf Italia, dove il mio primo capo è stato Chico Forti (libero subito!). Poi lì mi hanno cacciato a calci nel sedere e allora mi sono vendicato fondando Funboard insieme a uno con cui ho litigato subito e se ne è andato dopo pochi mesi. Poi ho fatto Funboard per 100 numeri e anche un sacco di altre riviste. Poi ho messo su famiglia e ho capito che era molto più importante di una rivista. Cosa ne penso adesso di Funboard lo puoi leggere in un mio post dello scorso giugno. Amen.
RIW: che cosa rappresenta per te oggi il windsurf? E’ ancora una professione?
S.L: No, per fortuna non mi guadagno più il pane con il windsurf, perché salvo rare occasioni in Italia è un ambiente professionalmente mediocre e in generale c’è un sacco di gente che non paga. E ogni volta che ci sono ricascato per passione, poi mi sono restate solo delle fatture insolute. Ma oltre al fattore economico, in Italia alcune posizioni chiave sono occupate da persone incompetenti e mediocri, e avere a che fare con loro è una penitenza che evito volentieri. Anche nei momenti di massimo ingarellamento con Funboard ero intimamente convinto che le riviste di windsurf hanno bisogno di sangue giovane. E di talento, ovviamente. Quindi trovo coerente con le mie convinzioni essere professionalmente impegnato con cose diverse dal windsurf. Dovessi avere una ricaduta siete autorizzati a insultarmi.
RIW: quali sono secondo te i pregi e i difetti nel riuscire a rendere la propria passione per il windsurf un lavoro?
S.L.: Dipende dal lavoro. Io posso parlare della mia esperienza, non mi piace generalizzare. Fare una rivista di windsurf di qualità è stata un’avventura fantastica. Io non sarei mai potuto diventare un atleta da PWA e nemmeno un atleta da circuito zonale. Ma sono diventato campione del mondo di riviste di windsurf, che è un modo diverso di vivere la passione. Il difetto è che tutti i problemi e le delusioni che avevo sul lavoro me le portavo nel windsurf, e questo a volte mi faceva veramente calare il desiderio. Aggiungi che io sono piuttosto intransigente, per cui ho avuto da ridire con un sacco di gente. Un certo MB mi ha fatto sapere che mi avrebbe spaccato la faccia. Un certo PP mi ha fatto chiamare dal suo avvocato minacciando di querelarmi, e mi è spiaciuto non l’abbia mai fatto. Un certo CB ha ritirato la pubblicità dalla rivista per sempre. Quando questa gente, e nel mio caso non sono pochi, la incontri in spiaggia la giornata è rovinata.
RIW: Cosa ne pensi del gruppo SBT, di Fabio’ Tampieri e quanto partecipi alla vita e alle attività del gruppo?
S.L.: Il gruppo SBT è il futuro del windsurf. Fabiò Tampieri è il nostro messia. Io sono il suo burattinaio. E chi ci crede è un kiter. Essendo un misantropo mi invento ogni tipo di scusa per non partecipare alle attività sociali, ma mi piace seminare zizzania, alzare l’asticella dell’ironia, dare il mio modesto contributo a fare confusione. E scrivere le parolacce che in questa intervista ho dovuto censurare. E fare i disegnini per SBT. Sostanzialmente, più che Surfista o Topa mi sento molto Bastardo.
RIW: Andrea Longoni, il tuo nome di sicuro non è nuovo al pubblico italiano dei boards sport. Come è nata la tua passione per il windsurf?
Andrea Longoni: insomma, il mio nome non penso sia tanto noto, è legato a un periodo molto lontano ormai e più che altro ci si ricorda tra “i vecchi” in quanto a un certo punto ho interrotto la “professione” sia nel windsurf che nello snowboard. Devo dire che quest’anno c’è una strana coincidenza per cui sono reduce da un’altra “intervista” fatta per lo snowboard e i tempi degli “inizi” quando con mio fratello Lucio partimmo con il progetto FUNKY snowboards (ufficialmente 1986) ma funky era già il marchio dei windsurf custom che produceva lui e come FK delle tavole da II^ divisione (classe olimpica “tavole a volume”) che facevo io con Fabio Soleri (vecchio customaro romagnolo degli anni 80). Insomma, sembra che sia il momento del “revival” e ci può stare, di tempo ne è passato parecchio ormai. La mia passione per il windsurf è nata quasi obbligatoriamente quando è apparso verso metà degli anni ’70, ovviamente è lunga ma in realtà il windsurf (e il parapendio) hanno rappresentato una vera rivoluzione nel mondo dello sport “moderno”. Prima di allora per chi era attratto da certe “sensazioni” c’erano solo sport come lo sci, la vela o il moto cross. E’ stato quindi automatico per alcuni gruppi di amici (allora in età comprese tra i 20 e i 25 anni) avvicinarsi al windsurf. Nel mio caso sono stato io a cercare un distributore di windsurf, i primi che ho trovato erano dei Dufour francesi distribuiti da una ditta di Milano (io sono comasco), se ne compravi un “pacco scuola” da 6 pezzi, c’era una buona offerta. Così ho subito trovato altri 5 acquirenti tra amici sciatori o crossisti o entrambi e da lì è partito tutto. Il resto è una storia lunga.
RIW: Come hai fatto poi a trasformare tale passione in una professione?
A.L.: Diciamo che ai tempi mi erano successe “strane vicissitudini della vita, ero un ventiquattrenne appena uscito dall’attività di famiglia (seta comasca) e mi ero iscritto all’I.S.E.F. , i primi windsurf li comprammo nel giugno 78 e 3 mesi dopo 4 di noi erano già “istruttori” ( potete immaginare il livello) ma allora funzionava così. Durante quell’inverno con un amico decidemmo di aprire delle scuole di windsurf sul lago di Como e da lì fu un susseguirsi di opportunità e di cose da fare un po’ in tutti gli ambiti di questo sport. Diciamo che nel decennio successivo ho fatto di tutto nel windsurf ma proprio di tutto a livello più o meno professionale. Va detto che erano altri tempi e altre storie, come sport era molto interessante e giravano anche dei piccoli capitali, c’erano le riviste, le gare, le scuole, l’abbigliamento e tanto altro. Io avevo tempo e in fondo ci capivo anche qualcosa quindi è venuto tutto da se. I nomi di quelli che hanno continuato con successo li sanno tutti e naturalmente siamo rimasti in qualche modo amici, almeno nello spirito e nei ricordi, purtroppo però ci sono anche quelli che mi mancano, un paio di loro erano dei grandi amici e li voglio ricordare come esempio di passione divenuta professione: uno è Jean Jaques Diana che era rappresentante bic italia e record-man di speed, un grande professionista e un ragazzo eccezionale, l’altro Walter Angelotti, meno conosciuto come windsurfer ma grande fotografo e grande persona che dal Ticino (Svizzera) si era trasferito in Brasile. Non cito altri personaggi a cui sono legato ma ci tengo a sottolineare che il windsurf, come gli altri sport, è da una parte scoperta e piacere personale oserei dire “intimo” ma dall’altra condivisione di vita e di emozioni con gli altri. Inutile dire che è difficile immaginare qualcosa di più degno di essere vissuto, se ci mettiamo anche l’elemento natura e posti stupendi visti e vissuti cosa si può chiedere di più ? Una gran “botta di fortuna” esserci stati.
RIW:: Che cosa rappresenta per te oggi il windsurf? E’ ancora una professione?
A.L.: tanta esperienza, tanti ricordi, la curiosità di vedere quanto ancora inesorabilmente si riesca a superare i limiti senza tregua e senza rispetto per la fisica e per la fantasia (e spesso per il rischio). L’estate scorsa ho restaurato due vecchissimi Mistral Competition Superligth e me li godrò nel vento leggero per andare a spasso (tipo Harley) e magari farci dei Match race con gli amici “old style”. Il windsurf non è più una professione da almeno 20 anni ma in fondo non lo è mai stata nel vero senso della parola, in realtà si trattava di un “pretesto” per fare quello che mi piaceva fare al livello più interessante che quel mondo poteva offrire e direi che ha funzionato alla perfezione.
RIW: Quali sono secondo te i pregi e i difetti nel riuscire a rendere la propria passione per il windsurf un lavoro?
A.L.: è un discorso molto complesso, dipende da tanti fattori valutare e dipende da persona a persona. Naturalmente ci sono diversi ambiti professionali nello sport, che vanno dal commercio allo sviluppo tecnologico, alla ricerca, alla competizione, all’insegnamento, al giornalismo e io ho avuto la fortuna di assaggiarli un po’ tutti. Addirittura mi sono anche costruito un kit per viaggiare in moto con il windsurf appresso e ci ho passato delle vacanze indimenticabili a zonzo per le isole greche (credo un caso unico che qualcuno immagino ricorderà). Non ritengo di essere la persona giusta a cui porre questa domanda, se ci penso l’aspetto lavorativo è sempre stato un semplice effetto collaterale e non mi ha condizionato in modo negativo ma credo che per alcuni il rischio ci possa essere. Diciamo comunque che è meglio stare in spiaggia che in miniera, ma fino a qui ci arriva anche mia mamma.
RIW: Cosa ne pensi del gruppo SBT, di Fabio’ Tampieri e quanto partecipi alla vita e alle attività del gruppo?
A.L.: Fabio è un personaggio che ha rivelato in pieno il suo potenziale dirompente con questa spassosissima trovata. Credo di essere uno che lo conosce abbastanza bene e credo di saper valutare con discreta attendibilità le novità e devo confessare che mi sembrava una assoluta cavolata tutta “da ridere” questa del gruppo SBT. E invece ha fatto il botto e davvero il fenomeno è affascinante, intrigante e spesso divertente. Una specie di movimento 5 stelle del WS ? Sto scherzando ma non saprei come spiegarlo meglio, un mix vincente e un personaggio istrionico alla guida, a prescindere da commenti e critiche (che hanno rotto le scatole in generale) un ottimo strumento per distrarsi e avere un occhio aperto su una parte degli internauti surfisti più o meno infami in circolazione. Le tope come si fa a commentarle ? La candelina sulla torta. Io uso FB in un modo un po’ particolare che non sto a spiegare e SBT lo vedo quotidianamente, se ho qualche commentaccio da inserire faccio la mia parte, purtroppo ho il vizio di ironizzare a ogni possibile occasione su tutto e anche per SBT ci scappa spesso qualcosa. Lunga vita al nonno ; )) .
Interview: Marco Livraghi – www.RIWmag.com
Photo Courtesy: Stefano Lentati, Andrea Longoni