A piu’ di una settimana dopo la grande mareggiata di Cagliari e dopo la relativa polemica sul web alimentata da chi non conosce il nostro sport e ha giudicato incoscienti i 4 atleti cagliaritani Michele Cittadini, Carlo Ciabatti, Andrea Melis e Francesco Congiu che si sono avventurati in quelle condizioni senza peraltro alcun incidente ( www.riwmag.com/gli-spanu-in-tv-e-i-ragazzi-di-cagliari-su-facebook/ ), vorremmo ritornare sulla vicenda per provare a trarre qualche riflessione piu’ a sangue freddo evitando il coinvolgimento emotivo di quella discussione.
Il windsurf e’ fatto di diverse specialita’, e ciascuna specialita’ puo’ essere praticata piu’ o meno anche in condizioni estreme, ma e’ il windsurf tra le onde quello che visivamente ed emotivamente colpisce di piu’ l’immaginario collettivo, sia tra i praticanti che tra i non praticanti.
Il connubio naturale tra forza eolica e forza marina espresse in condizioni tempestose rappresentano alla fine il non plus ultra della sfida tra uomo e natura, che in realta’ nasce come sfida ma che poi si trasforma per forza di cose in armonia e sintonia, perche’ diciamocela tutta: la natura sara’ sempre piu’ forte dell’uomo e quindi se l’uomo restasse in un atteggiamento conflittuale contro la natura sarebbe il primo a soccombere. Ecco perche’ per arrivare a certi livelli e’ necessario sviluppare un vero e proprio dialogo con se stessi e con la natura in modo da integrarsi nella sua energia e diventarne una sua forma di espressione, per poter partecipare in modo attivo all’emozione di tale forza ma lasciandosi trasportare dal flusso senza contrastarlo proprio per sopravvivere alla sua violenza.
In un simile scenario dov’e’ il limite tra consapevolezza e incoscienza?
Per provare a rispondere ad una simile domanda difficile forse bisogna partire dalla famosa curva di apprendimento del windsurf … curva che come noto a tutti e’ molto lunga e lenta rispetto ad altri sport acquatici e di glisse e che intrappola la tavola a vela in un settore di nicchia.
Curva di apprendimento cosi’ lunga e lenta perche’ ogni volta le condizioni in cui si pratica il windsurf sono diverse e quindi non permettono la semplice ripetizione dei gesti per apprendere le manovre, perche’ indicativamente ogni 5 – 7 nodi servirebbe una vela diversa e ogni 10 – 15 nodi una tavola diversa, perche’, a parte pochi spots paradisiaci, servono sempre una macchina, tempo e soldi per potersi spostare in base alle previsioni … insomma quello del windsurf e’ uno sport che richiede una dedizione fuori dal comune e che crea anche una sorta di esclusione sociale visto che non e’ da tutti riuscire a stare vicini e frequentare persone con un simile ritmo di vita fondamentalmente imprevedibile quanto il vento.
Ma questa stessa curva di apprendimento lunga e lenta in realta’ puo’ essere vista non solo come un limite ma anche come un valore aggiunto visto che funge da selezione naturale e stimola ad imparare una delle cose forse piu’ delicate e complicate per l’essere umano: l’equilibrio tra il coraggio e la forza di voler esplorare sempre qualcosa di nuovo da una parte e l’umilta’ di chi si affida ad una forza piu’ grande di se’ dall’altra. Ovvero l’equilibrio tra un’autostima sufficientemente forte da dargli la sicurezza di mettersi in discussione e l’umilta’ di dover essere costantemente vigilante delle condizioni che lo circondano in modo da non ritrovarsi vittima delle circostanze.
Certo, il rischio che le condizioni meteo cambino repentinamente e’ a volte in agguato, e sbagliare fa parte della natura umana, ma quando in gioco c’e’ la sicurezza della propria vita allora la ricerca di tutti questi equilibri spinge il windsurfista alla maturazione da istinti incoscienti a delle vere e proprie capacita’ di consapevolezza.
Il windsurfista durante il suo percorso sportivo, nella continua ricerca per migliorare le proprie abilita’, impara a visualizzare la proiezione del proprio piacere alla fine di una tappa di apprendimento e a calcolare i rischi che si corrono per il raggiungimento del suo obiettivo, in modo da offrirsi i mezzi per imparare cio’ che gli serve e per calcolare e ridurre al minimo i rischi corsi.
In questo modo progredisce divertendosi, imparando dai propri errori e aumentando gradualmente la propria autostima misurandosi non piu’ contro gli altri ma contro la natura, e quindi contro se stesso, per trasformare poi questa sfida in una forma d’arte in cui non ci sono piu’ giudizi ma un istintivo allineamento fisico, psicologico e spirituale che alla fine puo’ venir estrapolato dalla pratica dello sport stesso e puo’ servire anche come capacita’ di equilibrio per poter affrontare poi molte altre situazioni difficili della vita estranee allo sport stesso.
Certo, windsurfisti diversi applicano questo processo in modo diverso in base alle proprie capacita’ e priorita’, ma in un modo o nell’altro questo processo accomuna piu’ o meno tutti i praticanti e anche coloro che praticanti lo erano e che per forze maggiori hanno dovuto smettere ma che portano questo sport sempre nel cuore!
Ecco perche’ chi non conosce il windsurf o un’attivita’ di paragonabile intensita’ e complessita’ trova difficile da capire che cosa spinga alcuni riders ad avventurarsi in certe condizioni.
In redazione sappiamo cosa significa trovarsi esposti all’aggressione mediatica dei social network e quindi esprimiamo il nostro totale sostegno ai 4 atleti cagliaritani, ma vogliamo anche esprimere loro i nostri complimenti per aver saputo trasformare questa situazione imprevista e sfavorevole in una vittoria dello sport del windsurf in cui hanno saputo spiegare ai non addetti ai lavori che cosa serve per arrivare a certi livelli e che la loro non era una manifestazione di incoscienza ma di estrema consapevolezza!
Al tempo stesso non bisogna scordare che spingendo sempre piu’ i propri limiti si riduce fisiologicamente e drasticamente la soglia tra sicurezza e pericolo, tra consapevolezza e incoscienza per cui errori sempre piu’ piccoli possono portare a conseguenze sempre piu’ gravi con un tasso di rischio sempre piu’ alto. Non e’ stato di sicuro questo il caso dei 4 atleti cagliaritani ma per completezza di discorso e per fare un esempio concreto E.P. , responsabile di RIWmag, condivide una sua esperienza vissuta qualche anno fa e che ha sfiorato davvero le dimensioni di una tragedia:
“nel febbraio del 2013 mi sono ritrovato in acqua alla Coudouliere (Tolone – Francia) con 50 nodi di media e raffiche credo fino a 60 nodi. Le onde non erano particolarmente enormi ma l’acqua viaggiava ad una velocita’ che sembrava un fiume in piena. Dopo un po’ che navigavo, ad un certo punto sono stato assalito da una vera e propria sensazione di paura, cosa che mi succede davvero raramente. Nonostante non fossi ancora in una situazione di pericolo mi resi conto che per un niente al di fuori dal mio controllo avrei potuto davvero mettere a repentaglio sia la mia attrezzatura che la mia vita. E cosi’ decisi di rientrare subito a terra anche se con l’amaro in bocca. Quando partii per rientrare a casa sopraggiunsero i pompieri a sirene spiegate.
Il giorno dopo lessi sul web che un windsurfista stava finendo contro il molo del porto e che i suoi 3 amici si erano gettati in mare per aiutarlo finendo cosi’ anche loro in pericolo. Nessun mezzo poteva entrare in mare per aiutarli: i 4 amici ci avevano messo circa un’ora di estenuanti tentativi prima di riuscire a salvarsi e due di loro erano stati poi ricoverati per ipoglicemia ed ipotermia: 34,8 e 35,2 gradi di temperatura corporea!
Col senno del poi capii che quel giorno seppi distinguere tra il mio ego che era rimasto con l’amaro in bocca e che avrebbe voluto restare ancora in acqua perche’ in pericolo nei fatti ancora non c’ero ed il mio istinto che il pericolo l’aveva avvertito eccome, molto vicino, e lo aveva saputo sapientemente evitare! Infatti se non avessi dato retta a quest’ultimo molto probabilmente mi sarei potuto trovare a fare compagnia agli altri 4 sfortunati riders. Ma anche dopo aver metabolizzato una simile esperienza non credo che si diventati immuni da certi pericoli, anzi, in realta’ credo che in condizioni cosi’ estreme l’esercizio consista davvero nell’allenare il proprio istinto e saperlo distinguere, momento per momento, dal proprio ego. Facile da dirsi ma mai cosi’ scontato e semplice da fare anche dopo diverse esperienze!”
text: www.RIWmag.com
photo: Pipi Sacchetto, RIWmag, Mathieu Demachy