Danilo Lanteri è ormai uno degli shaper più stimati della scena windsurfistica italiana custom; in più di 35 anni d’esperienza ha sempre creato tavole e pinne rifinite nei minimi dettagli con le proprie mani e contraddistinte dalla qualità del Made in Italy, sempre ornate da una buona dose di umiltà e modestia. I suoi prodotti sono utilizzati non solo da forti atleti italiani (tra cui i pluri campioni italiani Mattia Fabrizi e Jacopo Testa, Matteo Testa campione juniores, i veterani Raimondo Gasparini e Gianmario Pischedda e Mauro Vinci quarto nella tappa del campionato italiano wave 2015 a Funtana Meiga che RIWmag ha intervistato l’anno scorso) ma anche all’estero come Jamilson de Souza, giovane e forte local di Jericoacoara. Il pensiero di Danilo nei confronti del Windsurf: Divertimento e Amore non solo Lavoro. Per questo motivo abbiamo deciso di raggiungerlo per intervistarlo.
RIW: Ciao Danilo, ben tornato su RIWmag! L’anno scorso ci siamo lasciati al Windfestival di Diano Marina chiudendo l’intervista svolta all’evento con: “ho già un’idea per il prossimo anno: hai presente “Un mercoledì da leoni”? : casino!” Sappiamo che sarai presente anche quest’anno al W.F. Cosa dobbiamo aspettarci rispetto all’anno precedente?
Danilo Lanteri: Innanzitutto ciao a tutti; la mia risposta dell’anno scorso si riferiva al mio modo di vivere il lavoro come una passione. Alla necessità di vendere antepongo il piacere di fare e nel caso di una manifestazione come il Windfestival per me è “fare casino”: autoironia e divertimento. Mi diverto già a pensare come presentare le mie pinne, non come venderle. Infatti al WF non vendo, ma presento il mio lavoro e me stesso. Preferisco non avere mai niente di pronto per essere libero di dialogare col pubblico senza obblighi di “magazzino” da svuotare. L’anno scorso era stata la vasca, perché le pinne devono stare in acqua, quest’anno stò mettendo a punto un’altra idea, e deve farmi ridere mentre la penso altrimenti non se ne fa nulla. Certamente porterò alcune nuove pinne, ma di questo spero parleremo dopo il WF, grazie alla vostra cordiale disponibilità.
RIW: Quali sono le fasi della produzione delle tue tavole, e quali delle tue pinne? Ti affidi a software virtuali e a macchinari per tagliare la materia prima?
D.L.: Alla base di tutto c’è la passione in quello che faccio. E poi tanto studio, anni di studio dell’idrodinamica, dai tempi in cui ragazzo andavo in barca, e tanti esperimenti, tante sconfitte e qualche successo. Niente è regalato. Per quanto riguarda invece la costruzione vera e propria, realizzo lo shape delle tavole completamente a mano. Uso il CAD per il disegno, ma curo le quote direttamente sul polistirolo prima, sul sandwich poi e sulla tavola da rifinire all’ultimo. In questa maniera continuo il ragionamento di progetto mentre la tavola viene fuori, e “vedo” nascere la forma che avevo in mente pensando al cliente, alle sue parole, anche quelle non dette. E così, mentre lavoro alla sua tavola, le mani seguono il pensiero. Per le pinne adotto pressapoco lo stesso metodo: dopo il progetto e lo studio preliminare, facciamo i test “spremendo” i ragazzi del team, e, approvato il prototipo migliore, disegno il definitivo al CAD. A questo punto, ad ogni richiesta fresiamo (ho dei collaboratori, surfisti anche loro) il G10 nel nostro cantiere con una CNC di precisione, anche adattando a volte alcuni parametri del disegno alle caratteristiche della tavola.
In seguito, la rifinitura completamente manuale ed eseguita personalmente, mi permette di “ritoccare” alcuni particolari pensando al cliente, alle sue parole. Prediligo il contatto personale: con me niente “carrello” da riempire! Il made in Italy io lo penso solo così: idea, disegno e realizzazione fatte in Italia da italiani che pensano a quello che stanno facendo. Niente controlli a campione, la qualità si ottiene solo se si controllano tutti i processi di lavorazione per ogni singolo pezzo. Altrimenti è “Parmesan”. Questo metodo non permette di avere niente di “già fatto”, però rende liberi di consigliare al meglio, ed eseguire anche richieste “su misura”: forme, attacchi e misure anche non presenti sul catalogo (visibile sul sito a piè di pagina). Le pinne slalom in carbonio invece sono costruite manualmente in stampi che realizziamo direttamente con la nostra CNC. Per me questo è fondamentale: non ci deve essere nessun vincolo di tempo, disponibilità e costo tra l’idea e la sua realizzazione. Il progetto deve andare avanti come il vento: libero. Anni fa avevo acquistato una macchina da cucire industriale, avevo imparato ad usarla e mi facevo, oltre ai pantaloncini da surf, anche qualche vela che ancora conservo. Oggi ci confezioniamo le custodie delle pinne. Il conoscere e saper fare cambiano il modo di pensare.
RIW: In uno stato su Facebook qualche settimana fa, parlando del carbon look hai scritto: “La soddisfazione è la prestazione sensazionale, non la promessa di sensazioni”; spesso leggiamo sui siti delle altre aziende che le loro tavole nascono dopo tante ore di test da parte degli atleti, migliorie millimetriche sui rail, posizione delle scasse ecc. Come si riesce a donare quella prestazione alla tavola custom, facendola calzare a pennello sul rider?
D.L.: La risposta è già nella realtà delle cose. L’industria, e parlo in generale, ha certamente mezzi e disponibilità per ottenere buoni risultati in fase di sperimentazione e test. Ma in realtà è il mercato a governare le sue scelte. La produzione preventiva di molti pezzi uguali crea un costo che condanna alla vendita forzata, e la vendita è argomento di marketing, non di tecnica, perché si compra emotivamente, mentre la tecnica origina dalla ragione. Per vendere è quindi più efficace un investimento in marketing che in tecnica. Infatti solo un’illusione può unire attese diverse con oggetti uguali. Di conseguenza è la ricerca di mercato che indirizza la ricerca tecnica. Il passo finale è convincere il consumatore. Ma a quel punto, del prodotto non si parla più da un pezzo … Ma su questo argomento esistono intere librerie. Il “su misura”, al contrario, non ha mercato, ma singoli appassionati di volta in volta, ad esempio noi windsurfers. E’ quindi la prospettiva ad essere completamente diversa. L’industria si chiede: “cosa andrà il prossimo anno?” Lo shaper chiede: “di cosa hai bisogno?” Ovviamente lo shaper deve avere idee, molta esperienza e capacità di ascolto, ma chi cerca il “su misura” si è già informato autonomamente. E per “su misura” intendo nuova idea, disegno originale ed esclusivo. Quindi niente “ricopiature” per carità!
Il cliente che ama il prodotto industriale infatti difficilmente si rivolgerà ad uno shaper e viceversa, perché le due scale di valori non sono sovrapponibili. Niente coincide. Una tavola di serie si compra in negozio come una camicia, già realizzata e visibile, una tavola su misura si costruisce come un vestito in sartoria, cominciando dalla scelta del tessuto, affidandosi al sarto (escludendo il prezzo). La camicia si cambia perché ci si sente fuori moda, l’abito di sartoria è fatto per durare anni. Scelte. Due mondi paralleli che costruiscono il loro percorso su strade differenti e che proprio per questo non possono convergere. A parte una certa “prepotenza” del più grosso dei due: niente di nuovo. Mi fa sorridere, ad esempio, vedere scritta a sproposito la parola “custom” su qualsiasi cosa replicata uguale a se stessa e possibilmente in serie infinite. E’ diventata ormai una parola senza valore finita nel cestone dell’autogrill. Io perciò preferisco essere semplicemente uno shaper. Magari “su misura” e perché no, con misura. Taylor made se proprio vogliamo farla controvento, ma dicendo la verità. E comunque preferisco molto di più non avere etichette: la libertà mi basta.
RIW: Tavole, Vele, Pinne; tutto è specifico per determinate condizioni e discipline; a parer tuo cosa rende un prodotto per il windsurf valido?
D.L.: Valido richiama l’idea di valore, che in sè non esiste, ma che diventa cosa reale se relativo ad un contesto. Nel caso del windsurf il contesto siamo noi. Siamo noi infatti a dare valore alle cose, ai nostri attrezzi preferiti. Anche per le attrezzature da competizione è così, perchè un cambiamento al regolamento di regata comporta automaticamente un adeguamento degli attrezzi. Anni fa lo slalom era Ins&Out, ora è Downwind: necessità differenti hanno indirizzato lo studio e la realizzazione di attrezzi differenti. Questa è la specializzazione. Quindi per stringere un po’ il discorso possiamo dire che la parola che può meglio rendere il concetto di attrezzo valido è: coerenza. Coerenza col programma prefissato, aderenza alle necessità di utilizzo. Ogni costruttore poi ha margine per studiare soluzioni che aumentino l’efficacia del proprio attrezzo, privilegiando aspetti che solo a posteriori si riveleranno i più adeguati al risultato cercato. E se il risultato cercato sarà allround, anche l’attrezzo dovrà esserlo, probabilmente accontentando per alcuni aspetti gli stessi utenti che nel mentre scontenterà per altri. Ma lo studio e il progredire dei risultati ridurrà man mano il divario.
Quando ho cominciato ad andare in windsurf la tavola su cui ho imparato (fatta da me, ma non molto diversa da altre) era proprio il contrario di come si intendono oggi le tavole per progredire: instabile, pesante, scivolosa, poco maneggevole, dura e lenta nella risposta, la vela era praticamente un sacco che non usciva mai dall’acqua, il boma si muoveva sull’albero come un’altalena e non forniva un appiglio sicuro, e in più tutte le parti si rompevano spesso con facilità. Oggi è tutto il contrario. Il windsurf di oggi offre davvero un prodotto più valido, anzi, valido in assoluto. Il più valido sarà allora quello che ci accontenterà di più: vogliamo battere il record di velocità? La tavola che ce lo permetterà sarà la più valida. Vogliamo navigare senza pensieri dove capita e senza spendere troppo? Il classico freeride sarà la nostra scelta. Magari usato, così i pensieri saranno a zero davvero. Il valore quindi lo diamo noi. Io vendo tavole su misura che possono dare soddisfazioni per anni, altri rivendono la tavola acquistata l’anno precedente semplicemente perchè non vogliono sentirsi indietro. Argomenti per sociologi. Ma che bello! Discuteremo all’infinito …
RIW: Il 2017 sarà l’anno del Foil Windsurfing, è possibile che sentiremo parlare in futuro di una pinna in grado di far letteralmente volare la tavola, ma che sia firmata Danilo Lanteri?
D.L.: Sì, in effetti mi sono ritrovato a pensarci. Ma non ho pensato ad un foil come lo vediamo ormai sempre più spesso. Ritengo il tipo attuale di foil interessante ma forse un po’ poco pratico nell’uso, però ovviamente parlo da non praticante. Il foil che penso io dovrebbe essere più versatile, e più adattabile alle condizioni diverse direttamente in navigazione. Ma soprattutto consentire una navigazione più simile a quella a cui siamo abituati con il windsurf. Ho fatto qualche studio preventivo e non è detto che non prosegua con qualche esperimento. La cosa effettivamente mi intriga. Ma detesto gli annunci e quindi per ora niente.
Per maggiori informazioni sui prodotti firmati Danilo Lanteri Boards & Fins: www.danilolanteri.com oppure www.facebook.com/danilolanteriwindsurf
Interview: Andrea Puzzoni 4 www.RIWmag.com
Photo: Danilo Lanteri, Christian Ferraro, Mattia Fabrizi, Alessandro Derox Mazzetti